Per questi luoghi cui appartengo
in modo irrevocabile, mi muovo
e mi ritrovo nell’irrilevanza delle cose
che stanno, cariche d’abitudine
e di una mancanza che ingombra
e se non fosse questo piccolo dolore,
questo spillo sapiente
che mi appunta per un osso alla vita
direi che sono un post– it note
di incombenze evase
lasciato sul frigo da una distrazione.

 

(È quasi utopia nella memoria
il tuo volto così puro, inconciliabile
con la prosa delle umane occupazioni).

 

Così – come accade talvolta
nel più disarmante dei sogni –
vivo i fatti dal di fuori
quale immagine muta di specchio.
Vivo dell’esigua rendita di un bene
nel quale mi convenne credere
e dei tanti miserere preventivi
che recitò mia nonna in lascito
alla sua smarrita discendenza.

C’è un falco lassù dove non vado.
L’ombra del volo che seguo
misura la lentezza del mio passo
e m’interroga su chi
o cosa io fossi prima di me.
Se queste scapole siano traccia
di abortita gemmazione d’ali
o di una involuzione inesorabile
sotto il peso crescente del pensiero.
Castigo o premio o solamente caso
che sia toccato a me di non volare
e a lui la sua sublime indifferenza
a questa pena.

Gli amanti

 

Sanno di loro gli ormeggi oscillanti sul fiume, 

le soste dei voli nei platani distratti,

 

le zone d'ombra agli angoli dei muri.

 

Lo sanno i portoni chiusi lungo i viali,
gli ascensori liberty aperti sulle scale
a scendere e salire tra inferno e paradiso.
Di loro sanno i giardini piovosi
deserti dei giorni di scuola
e le panchine divise con baci adolescenti
e studenti d'arte che copiano la storia a matita.
Rigattieri del tempo, pagano la notte per un'ora,
gli amanti, e alla vita i giorni d'avanzo
assemblati per farne una quinta stagione
che ha fiori di carta e neve di polistirolo.
Hanno alloggi di fortuna, vuoti di fotografie,
lenzuola, mura, tende bianche che sanno
e non hanno memoria di loro
sciolti in un solo sangue
e un’impronta sola su una parte di letto.



Sottovoce

Se un giorno tu dirai di me al passato
ti prego, fallo sottovoce, che io non senta.
Anche quando avrò già reso al fango
la mia parte, almeno tu non dire è stato
o lei era. Ne morirei irrimediabilmente,
perché quell'oncia che di me ancora posseggo
l'ho messa al sicuro nella tua memoria.
Ecco, ti nomino custode del mio lato oscuro,
dell'incompreso che tu solo sai capire.
E quel candore di ballerina scalza senza gloria
l'ho riposto dentro al tuo cassetto del futuro
fra le cose leggere, per un prossimo Aprile.

Se mi ostino nel farmi parola
è per la polvere che cade sul tappeto
quando il pendolo non guarda.
Sedimento per grazia d’inerzia
con le spore quiescenti dei muschi
per chi arriva dai margini del segno.

Corrispondenze

 

E' un anno di parole che non scrivo

e non c'è incuria o disamore, credi,
se ho lavato la matassa dei pensieri
e l'ho stesa al silenzio ad asciugare.
Non è cambiato molto, da quel giorno.
Cado ancora e come allora
mi sbuccio le ginocchia
ma non piango più, purtroppo
e questo è male, perché il pianto cura,
è pioggia che consola, il pianto.
Io lo sapevo fare e mi piaceva
il sale a fior di labbra
e il respiro che risale da un singhiozzo.
C'è ancora il segno delle tue mani
che mi fanno da bracciali
di quando giravamo forte in tondo
e il rumore sempre uguale della moneta
in fondo al pozzo dei desideri e del disincanto
di un ritorneremo, un giorno.

L’attesa espande il tempo
perciò aspetto la morte.

 

Per avere più tempo.

 

Te non aspetto
così verrai improvviso.

 

Rovescio d’ atmosfere.

Futuro semplice

 

 

Mi domandi se domani ci sarò
Certo – rispondo – dove vuoi che vada?

 

Dovrei imparare a dirti addio
tutte le volte.

 

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