L’isola

 

Ricordi il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo e odoroso, scendere per i dirupi
sopra quel mare? e le capre
tenaci brucare il timo, l’enigma
dello sguardo che si posa
dovunque e sempre assente?

più non so il luogo dell’imbarco
come salimmo nel battello
quali erano le carte per il viaggio.

Scendevi alta per lo stradino polveroso
antica come le ragazze
che portarono i panni alle fontane
la tua carne era bruna come la loro.
Férmati nella radura dove il vento
ha disseccato e sparso i rosmarini
qui potremmo vederle se aspettiamo
immobili alle euforbie quando imbruna
vanno alla bella fonte degli aneti
giocano lì nell’acqua e tra le erbe
e mai s’è udito un pianto
sono felici.

Tu eri come loro, solo una volta
quando uscivi dal mare, ti sei seduta
nei gradini del tempio, un’ombra appena
trascorse di dolore nella faccia.

Seppi così che il tempo era finito
che tra gli dei si vive
un giorno solo.
E riprendemmo il mare
normali rotte.

Qualcun altro s’imbarca, attende il turno
né l’isola sprofonda
come vorrei.

 

(Gennaio 1990)

 

da: In fondo al fosso, Frammenti di Poema
(1992 – 1990)

Jacopo fratello
 
Jacopo, difficile
oggi raccontarti,
non camminiamo più
insieme tra borghi
e campi,
non scendiamo alle terme
in uguali, bianchi
accappatoi incappucciati,
non attendiamo noi due,
da soli,
in un tavolo solo,
scoccare la mezzanotte
nella bianca sala
apparecchiata,
estranei alle grida
alterate, ai coriandoli
ai capelli attorcigliati,
ma presenti,
dentro le feste presenti
e dentro gli altri giorni,
ora di molto
tu mi sovrasti,
certo ti amo,
un po’ anche
ti temo
 
ora sei grande,
il tuo corpo potente
e armonioso,
ma la voce,
la voce flebile,
tenera e incerta,
la corrente degli anni
oggi risale,
ai giorni della nascita
ti riporta
 
vorrei che tu fossi
mio fratello,
ho avuto tenere sorelle
sorelle-madri
di me più grandi,
ma un fratello no,
non l’ho avuto,
e tu avessi dieci
e io dodici anni
 
fare capanne
d’acacie al Perlo
lungo lo stradino,
salire tra i greppi
a quel vulcano spento
che s’apre pauroso
tra rose di macchia
e fitti rovi
e pane e mortadella
mangiare lì
accovacciati
 
vorrei che tu avessi
dieci e io
dodici anni

 

da L’urlo della mente e altre poesie (Samuele Editore, 2024
 

La giostra

 

ah, quella giostra antica
nella ressa di scooter
di ragazze vocianti, luminose
dentro jeans stretti
e falsotrasandati,
dei fuoristrada rossi
sul lungomare,
escono da ogni porta,
da ogni strada,
straripano nell’aria che già avvampa,
è l’ ora che precede
dolce la sera

ma nessuno che salga
sui cavalli, di legno
coi pennacchi e quella tromba
gialla, come nel libro
di letture, la musica
distante e incantata,
quella che rese altri
le zucche e i rospi

li c’era una ragazza
tutta sola,
vestita da Pierrot
la faccia bianca,
nessuno che prendesse
i bei croccanti,
lo zucchero filato
dalla sua mano

Jacopo che tra gli altri
passa, senza guardare,
dondola il grande corpo
e li sovrasta,
abbracciò un cavallo
e poi pendeva
dopo riuscì ad alzarsi,
rise forte

figlio che giri solo
nella giostra,
quegli altri la rifiutano
cosi antica e lenta,
ma il padre t’aspetta,
sgomento ed appartato
dietro il tronco,
che il tuo sorriso mite
t’accompagni
nel cerchio della giostra,
nella zattera dove stai
senza compagni

 

marzo 2001

 

da Nel tempo che precede (2002)

 

 
 
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