In una Roma gelida e affollatissima, di un turismo vociante e inelegante (ad essere cortesi e non usare il termine preciso: cafone), troviamo rifugio nella grazia pacificante della Mostra di Fernando Botero, nell’accogliente palazzo Bonaparte.
Nelle sue stanze silenziose e raffinate sono esposte circa 120 opere del maestro colombiano: oli, pastelli, disegni a matita, sanguigne, carboncini, sculture, e gli acquerelli del suo ultimo periodo, a testimoniare oltre sessanta anni di attività e ricerca artistica.
A introdurre al percorso espositivo ci accoglie l’“Omaggio a Mantegna” e alla sua Camera degli Sposi. Mantegna che con i suoi colori e volumi, insieme ad altri maestri del Rinascimento italiano come Piero della Francesca, soprattutto, e Paolo Uccello e Masaccio, si è rivelato alla consapevolezza del giovane pittore ventenne come fonte della sua ricerca e linfa per la sua arte.
Omaggi alle pareti anche ad altri pittori: Raffaello, Velasquez, Van Eyck...
E poi la serie delle Nature morte, il Circo, la Corrida, con i suoi toreri estatici e sognanti, pur se feriti e i suoi tori pacifici: un’atmosfera sospesa, dalla quale è bandita la violenza. E le sue donne, generose e sensuali, positive e vitali, esuberanti e sicure della propria presenza e del proprio posto nel mondo, e bambini e cavalli ed orchestrine. Tutta un’umanità che partecipa con tranquilla fiducia al gioco del mondo.
In questo universo di serena compostezza classica all’improvviso si alza forte un grido, tanto più acuto quanto più inaspettato: una denuncia alta e vibrante contro ogni tipo di violenza: domestica, criminale, istituzionale. Quella più potente emerge nelle opere esposte appartenenti al ciclo di Abu Ghraib, cioè agli oltre 50 tra disegni e dipinti senza titolo ma numerati cronologicamente prodotti da Botero nell’arco di 14 mesi e frutto dello sdegno dell’artista di fronte alle atrocità commesse in Iraq dai soldati americani: le vittime sono rappresentate nella loro sofferenza e umiliazione a incarnare tutte le vittime della crudeltà, di tutte le guerre, “per non dimenticare”. “È diventata come un’ossessione. Per 14 mesi ho lavorato solo su questo, pensando a questo. Alla fine mi sono sentito vuoto. Non avevo più niente da dire. Per qualche ragione ero in pace con me stesso”.
La mostra è aperta fino al 19 gennaio 2025.
sm