L’anno ha pochi giorni perfetti.
Non ci lascia mai incolumi la divinità felpata.
Noi la subiamo come l’eccessivo caldo
o il troppo freddo.
Nel corso passano senza freno i dagherrotipi
della nuova eleganza e ci portano via
le donne e la vita.
Nel salone
Non conosco il nome della pianta
né mi interessa di saperlo.
Mi attirano soltanto quelle foglie
inverosimili di plastica
che si allargano fino al soffitto
e lo toccano a una altezza pari
alla vista fuori dell’azzurro.
E’ importante per me notare questo azzurro
intenso e sciroccoso – mentre fuori
tutto si agita e si torce qui
niente fa una grinza e le forme del vuoto
si svelano più facilmente.
E’ importante invece che io tenti paragoni
tra interno e esterno? A tessere
l’elogio del primo non penso
e neppure capire il movimento del secondo
mi smuoverebbe. Non faccio nessun
tentativo di intelligenza,
non scavo, non tento nessun collegamento.
Guardo ancora le foglie larghe
e ogni tanto il cielo.
Non ricordo il nome della pianta.
Da Scherzi per un compleanno
a G.
Vorrei fare una lunga vacanza nella terra.
Mie notizie porterebbe il vetro del mare o qualche animale
dal mugugno impigliato nel trabocchetto del buio.
A chi volesse trasmigrerei nelle stagioni intermedie
il fresco dal mio sottocutaneo (la terra
si raffredda più presto del mare), risolto
nel minerale, spesso in simbiosi col vegetale,
assoggettato in altra specie dall’acqua che disperde,
in più sciolto da ogni esperimento di corporeità.
Le poesie (Il lavoro editoriale, 2000)