Non so non spetta a me
dare ordini alla vita degli altri,
non spetta a noi
capire cosa sanno dell'aria
e in quale anima svegliarsi,
a noi spetta dire il nostro,
cantare il nostro canto,
che sia di lavoro o di silenzio,
che sia un tremore,
un andare o un restare,
poco importa.
A noi spetta alzarci in volo,
sapere che è possibile grazie alla lingua,
e dalla lingua salutare il mondo,
fargli carezze,
guardarlo,
accompagnare uno sconosciuto,
tornare alla dolcezza di quando ti conosci poco,
prendere per buono
un desiderio
e il suo contrario,
perché siamo la spina che non scende
e il bel fiato degli angeli,
siamo questo e quello,
siamo le ali del volo
e il vomito di un zoppo,
e oggi l'amore è questa notte insonne,
la notte in cui il mio cuore è conteso
dalla mia paura e da nessuno,
la notte in cui lascio la paura
e scendo in strada sapendo
che non è il paese ma l'universo,
sapendo che c'è la stella in cielo,
sapendo che nel mondo
c'è il mare e la tua carne,
c'è la tua carne e il filo d'erba,
c'è la luce e la tua carne,
c'è la tua carne e la mia
che possono abbracciarsi.
La prossima volta che ci vediamo
portami con te in un supermercato
dentro un bar nel parcheggio di un ospedale
portami dove vuoi
senza toccarmi ma tienimi col filo delle tue narici
tienimi dentro la nuvola in cui dio e il vuoto
si fanno i dispetti usando le nostre ombre.
La prossima volta che ci vediamo
portami con te in una strada di campagna
dove abbaiano i cani
vicino a un’officina meccanica
dentro una profumeria
portami dove vuoi
spezza di colpo con un bacio il filo
a cui sto appeso
fammi cadere in qualche punto dell’inferno
e il corpo dove abito sia finalmente illuminato
dalla tua voce.
Ti seguo ti prendo e il corpo mio
finalmente s’allieta
ricomposto attorno a te
sopra di te
bestia selvaggia
con l’anima di seta.
da
"Ti scrivo. La poesia è dei santi e delle bestie"
P.S.
Per leggerti doveva venire qualcuno da Milano
all'osteria di mio padre,
a Bisaccia non arrivava il Corriere della Sera.
Io ero inquieto come adesso,
forse anche per me la radice
del male era nell'amore impossibile
per mia madre.
Ora che tu sei morto e io sono quasi già vecchio
posso dire che siamo due bestie
e che nulla abbiamo da spartire
con la socialdemocrazia dello spirito
che si è diffusa nei poveri e nei ricchi.
La poesia è dei santi e delle bestie,
mai dei colti e dei precisi.
Dovevamo fare i briganti
i piromani, i banditi
e invece abbiamo umiliato la nostra violenza
tra le righe.
L'Italia di oggi
ha perso miseria e garbo,
ha perso l'altezza e la bassezza,
è tutto un via vai di pensieri
a mezz'aria, perfino nei corpi
a volte non c'è storia.
La fame di corpi che tu avevi
ora sarebbe senza rimedio,
saresti un morto di fame.
Capisco perché di notte
era il tempo dello sperma.
L'odore che c'è sulla punta del cazzo
non è come le chiacchiere del giorno
tutte uguali, una giostra di parole
che non sa di niente.
Cara Madre,
ora tu hai solo silenzio nelle ossa,
ora posso provare a darti un poco
della mia gioia. Tu pensavi solo a soffrire
e io ti seguivo,
non so a cosa ho creduto nella vita,
sicuramente più di tutto
alla tua sofferenza e alla mia.
Ora è tempo di stare dove sono,
ringraziare, vedere il buono,
fidarmi della gioia e non dello spavento.
Ti farò sapere di questo nuovo tempo,
mi farò una croce sul cuore
ogni volta che ti penso.
Ti scrivo
da questo freddo
che non vuole più finire,
da questo chiasso girevole
che fa di ogni vita un povero deserto.
L'altura sarà più verde
fra un mese,
se non gela
arriveranno macchie di rosso
in mezzo ai rovi,
il bianco dei tuoi occhi
sugli alberi delle ciliegie.
C'è amore se c'è attesa
di amare:
io porto l'infanzia,
tu porti il cielo
e il mare.