UA-51143403-2

Pensarti
Lachashov alaich
לחשוב עלייך

 

 

Tante cose ho amato di te
ed erano tutte facili.
Non è complicato
godere della bontà,
o bearsi dei tuoi sguardi,
e la tua voglia
che meraviglia.

Ora io amo la tua distanza
come si può amare un coltello
che entra fino al manico.

Amo il tuo silenzio
che mi riempie di universo
di assoluto
di buio.

Amo il dolore
perché me lo dai puro,
come puro era il piacere,
forse.
O forse amo questo vuoto
perché mi rarefà
la coscienza.

Rinuncio alle finte conversazioni,
a quel bisogno di parlarti
che non è più comunicazione,
all’incontro diventato scontro,
mentre ti guardo
ricordando ogni particolare
dalla mia remota Australia.

Nascondo il pensarti
in bella vista.

 

 

Essendo povera,

non butto niente,

cose che potrebbero venirmi utili,

ho un archivio,

molti cassetti,

ordinati per argomento,

forse dovrei fare alfabetico:

garantire la consultabilità.

Dice a che ti servono i romanzi.

Dice che te ne fai della poesia.

E le storie finite male,

quelle sono solo una spesa,

gl’intestardimenti, le leggerezze,

le dimenticanze, la tigna,

quando invece di prendere il battello

prendemmo il pullman,

perdemmo un giorno

e le balene non le vedemmo,

le storie dei pazienti,

le storie dei sopravvissuti,

le storie degli amici

la storia del tizio che suona leva calcistica del 58 sulla metro b

la nevrosi dell’impiegata alla posta,

l’indiano coi fazzolettini al semaforo di svolta a U,

che un giorno mi chiese una ricetta per l’antinfiammatorio,

la gelataia che sembra una maitresse,

la dirimpettaia che le sue raccomandate le ritiro io

e mi regala la cioccolata,

la professoressa col minuscolo bassotto feroce,

l’amico che da specializzando era magro e aveva una testa così di capelli neri ricci,

tanti anni fa.

Tengo quello che mi succede, mi porto dietro ogni filo di relazione,

ho una cassetta degli attrezzi in testa

una Santa Barbara di strumenti disparati, assurdi, apparentemente ciarpame,

mi servono per rispondere,

uso le narrazioni per altre narrazioni antalgiche

tesso le parole per dare senso, per toccare, per fare sesso con l’anima

e poi mi nascondo dalla paura

non so di che,

non posso sapere tutto,

e perciò trattengo i segni degli altri

me ne tatuo i neuroni

anche la voce di chiunque incrociato al supermercato.

Ogni accadimento avrà la sua collocazione

e sarà debitamente riutilizzato.

Lascerò un hangar di sguardi mai eliminati

nella delirante fantasia

che illuminino la città

anche dopo che sarò morta.

Maternità
Immahut
אימהות

 

Grazie a dio,
che forse esiste,
niente figli.

Grazie a un caso
o a una scelta istintiva
o a una remora
che ha trascinato la questione
fino oltre il limite,

non sarò io
ad abbandonare.
Non sarò
la tua risposta sbagliata,
la tua delusione più cocente,
il demone che ti porti dentro.
Non sarò io
il primo tradimento,
il coltello ficcato in gola,
il fantasma che ti segue
in sogno,
l’ombra lunga delle giornate
fredde.

Non sarò io
la viscerale incomprensione,
il ricatto fino all’ultimo respiro,
il picchetto sbandierato d’amore
oltre il quale la disubbidienza
entra nell’illegale biblico.

Lontana più di un metro,
la lama della mia lingua non ti taglia,
ti sfiora.
A una distanza antalgica
i miei tentacoli di bisogno
non arrivano ad avvilupparti,
a soffocarti.

La gioia
di non sapere
che significa
quel potere senza controllo;
di non aver dovuto capire
la fatalità dei miei difetti
addosso a qualcun altro.

Il sollievo di non sentire mai
lo strappo dalla mia pancia,
l’altro da me, che è stato me,
e che mi accusa.

La certezza che nessun processo
né nessuna gogna
saranno mai come un figlio
che ti imputa le tue vere colpe.

Un angelo ha steso la sua ala
sulla mia testa,
e mi ha risparmiato
dalla conoscenza carnale
della maternità,
dalle quinte di dolore
che questo teatro
vuol farmi credere di amore.

La morte fa esperimenti
spegnendomi lo sguardo
diluendo la fame, la sete
l’intensità degli stimoli

La morte fa le prove
nulla è così importante
così urgente
così luminoso
così intenso.

La morte è il gatto
io sono il topo
stropicciata scricchiolante lenta
conscia.

Mio padre muore, mia madre si sbiadisce, io non amo più.

La dose di morte quotidiana
un vento che mi erode
sono fatta di sabbia
meno forza meno idee meno fede
un granello alla volta
in attesa dell’onda
dell’unione finale
con l’indifferenza.

Non appartenere


Se non avessi cittadinanza

Lingua madre

Cognome

Se non avessi patria 

Divisa

Partito

Se fossi priva di nemici

E volessi solo interlocutori?

Se non avessi lingua

Religione

Vestiti a contraddistinguermi?

Se non avessi titoli

Particelle semantiche a sostenermi

Nessuna identità da sbandierare

In conflitto con un’altra? 

Esisterei? 

Se non avessi comandamenti

Leggi

Verità più vere di altre in prima pagina,

Saprei qualcosa?

Non darmi l’ottimo consiglio

Di non farmi notare

Per le cosce e per le idee

Per i gusti e la gioia,

Perché anche la gioia è molto punita,

Non dirmi che sarò di nuovo come mia nonna,

Vergognosa del mio desiderio

Della mia intelligenza,

Che sarò di nuovo donna solo donna e non più persona, 

Perché la mia patria è babele,

Non ci rinuncerò facilmente. 

 

WhatsApp chat