Di meteorologia
noi non sappiamo niente,
assolutamente:
ignoriamo il tempo delle semine,
e quando s’accoppiano
i maschi con femmine
in guisa che accompagni
la volontà delle stagioni:
ignoriamo i segni
per cui si scelgono le terre,
che riesca fecondo e certo
il gesto della semina.
Per cui noi si vive a caso
per lo più disgraziatamente –
ma senza malizia delle cose.
L’errore fu nascere sotto lo Scorpione,
o in opposizione di pianeti infausti:
o forse l’errore fu nascere, nient’altro.
Ci insegnarono qualcosa:
che il sale rovesciato porta male,
che di venere e di marte
non si sposa e non si parte;
ma per cinque giorni
non ci assistettero dogmi né proverbi.
Sempre ci sgomentò al sopraggiungere
il tuono d’una nascita,
e giunse a noi imprevedibile la morte.
Cercheremo, un giorno, il mago, il guaritore,
la donnetta che legge nelle carte?
Ci verrà meno
la disperazione onesta?
Io mi divido
in giacca e calzoni e cintura
e ancora mi disgiungo
in cravatta e camicia
e mi scindo in cranio, in polmoni,
in visceri e pube,
e mi distinguo
in ogni cellula
che senz'amore s'accosta
ad altra cellula.
Così, casualmente, sussisto:
poi chiedo in prestito
la forza che congiunge
l'uno all'altro i miei volti possibili
all'improvviso sacramento
d'una chitarra,
al riso dell'amico,
allo squillo consueto del telefono,
nell'attesa distratta
d'una voce che perdoni la mia spalla,
la mia gamba, la mia dolce cravatta:
nell'oziosa attesa
del sacramento della nascita.
Abbiamo tutta una vita
da NON vivere insieme.
Sugli scaffali di Dio
s'impolverano i gesti possibili:
le mosche cherubiche insozzano
le nostre carezze;
stanno appollaiati come gufi
i sentimenti impagliati.
"Merce inesitata" - griderà l'angelo d'ottone -
dieci casse di vite, di possibili.
E avremo anche una morte da morire:
una morte casuale, innecessaria,
distratta, senza te.
Io non ho prova della mia esistenza
se non per questo
dolore continuo dell'orecchio,
una lettera d'amico,
il gusto denso della birra
contro le gengive.
Fuori dal sigillo
della paura ininterrotta
non ho altro indizio
della mia continuità.
Quando ti scopri a te stesso imprevedibile
o, innamorato, esperimenti
gesti solenni, inevitabili
che propongono nuovi lineamenti:
o squassa una danza arcaica
le membra inveterate,
o scelta d'una femmina;
in vite altre da te, a te sottratte
individui il ritmo
che la tua vita squadra
in tempi ragionevoli;
non ti appartieni più, sei
totalmente morto: e sei salvo.
Ti paragonerò dunque
amore mio, mio amore
ad un giorno estivo, o trepida rosa
(una rondine sarebbe forse
più acconcia, o una farfalla?)
O non piuttosto, amore mio, mio amore
ti farò simile al tetano
che inchioda le mascelle,
alla lebbra paziente
che accima la carne indifesa
o all’ulcera, fiore perplesso,
o al tumore, autonomo individuo,
che cresce nel corpo
per verginale gravidanza?
Mia rosa mostruosa,
delicata, indolente paranoia.