Vita

 

Vita, non abbandonarmi. Comunque tu sia, cactus, coltello,
daga, cappio, ferro in fuoco, oscurità, malsanía,
sei sempre vita, e frullina e leggiadra e civetta:
anche se nonostante, continuo ad amarti.
Comunque tu sia, laida e scrignuta e streghesca e malvagia,
sei sempre vita, e preziosa nel mio lapidario.
Verde riviera, non abbandonarmi:
anche se involto d’atroce malinconia,
non voglio smarrirti, zitella dal fiato pesante,
guercia bigotta, garrula becchina ,
tu rogna e affrancatura, tu amore, mia vita,
tu limpida vita, tu vita inimica

Guai a chi si costruisce il suo mondo da solo.
Devi associarti a una consorteria
di violinisti guerci, di furbi larifari,
di nani del Veronese, di aiuole militari,
di impiegati al catasto, di accòliti della Schickeria.
E ballare con loro il verde allegro dello sfacelo,
le gighe del marciume inorpellato,
inchinarti dinanzi ai feticci della camorra,
come Abramo dinanzi al volere del cielo.
Guai a chi sulla terra è sprovvisto di santi,
guai a chi resta solo come un re disperato
fra neri ceffi di lupi digrignanti.

 

Da "Lo splendido violino verde", Einaudi 1976

Vorrei...

Vorrei che tu fossi felice, cipollina, vorrei
che tu non conoscessi il cane nero della sventura,
quando sarai uscito dal blu dell’infanzia.
Vorrei che tu non debba portare bazooka,
che non debba tremare nel folto di un bombardamento
che tu non debba pagare per le mie colpe
né vergognarti di me, del mio cicaleccio
e dei miei vani versi e della mia professura.
Vorrei che tu non fossi mai gramo o malato
o maldestro come Scardanelli,
vorrei vivere nella tua voce, nei tuoi gesti, nei tuoi occhi
anche quando mi avrai dimenticato.

 

da “Notizie dal diluvio”

Resta con me, non andartene.
Già bolle il caffè turco della notte eresiarca,
come azzurre fiammelle di ponce sfavillano
le lampadine giranti del Luna Park.
Non affogare nel ròtor, nel grinzo
gorgo dei casamenti impazziti,
dove scurrili bellocce si impinzano
di fricandò e di soffritti.
A tante storie consunte si aggiunga anche questa,
ma resta,
furbastra barbiera e giumenta:
imbrattami di noia, di falsa gioia,
di paroline spumose e posticce,
perché, come in tempi lontani, io mi senta
stupidamente felice.

 
Da "Lo splendido violino verde"

A guardarlo troppo, il mondo si sbriciola

 

Questo oleandro già pronto a sfiorire mi svela

che il mondo si sbriciola a guardarlo troppo.
Meglio ignorare l’indifferente natura, la gelida,
che puntarvi addosso lo sguardo come il malocchio.
Ogni cosa è imbrattata di ciglia di estranei,
e le nostre pupille curiose ne affrettano
la muffa, lo sfarinìo di farfalla, il dissesto,
il mesto giallore da Presto Giovanni
insomma l’ingresso nel Buio Pesto.
Lo sguardo denuda lo sfarzo mendace del creato,
straccia gli involucri bagattellieri, e l’immagine
non resiste alla nostra inquisizione oculare,
ma il giuoco è reciproco, tu pure sei fragile
e polvere, se ti osserva un oleandro.

 

da Sinfonietta

Il mondo è un cristallo in frantumi
e omini in bombetta balbettano
un delirante linguaggio contorto
residui di ciarle di numi.
Sono cotogne, attori di un’eclisse
sussiegosi guitti che si affrettano
con sotterfugi e con risse
a trafugare il salario del mare
a spogliare ogni pòlipo morto.

Qui dentro io sono il sovrano
e mi appartengono tutti i colori:
l’azzurro del cielo-gabbiano,
l’inchiostro del mare spurgato da un pòlipo,
e le gialle campànule di un cotone stampato,
e il rosso sudore dell’arida terra,
e l’àureo torrente delle foglie autunnali.
Tutto ciò mi fu dato e sottratto e ridato
nel mio zoppicante destino, nella mia eterna guerra
per sopravvivere, in questo trèmito di acetilene,
e per troppe volte gli ho detto addio,
ben sapendo che tutto sarebbe durato
anche senza di me, anche se mi appartiene,
anche se non è mio.

Dove ci incontreremo dopo la morte?

 

Dove ci incontreremo dopo la morte?
Dove andremo a passeggio?
E il nostro consueto giretto serale?
E i rammarichi per i capricci dei figli?
Dove trovarti, quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi,
quando avrò bisogno delle tue parole?
Dio esige l’impossibile,
Dio ci obbliga a morire.
E che sarà di tutto questo garbuglio di affetto,
di questo furore? Sin d’ora promettimi
di cercarmi nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere
sui legni carichi di mercanzie sepolcrali,
in quel teatro spilorcio, in quel vòrtice
e magma di larve ahimè tutte uguali,
fra quei lugubri volti. Saprai riconoscermi?

 

da “Notizie dal diluvio”, Einaudi Editore, 1969

 

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