Immagino che tu possa tornare.
È per questo che lascio
la porta di casa aperta,
perché tu non debba
nemmeno bussare,
ma presentarti quando vuoi
per esempio
all’ora di pranzo
o quando faccio la doccia.
Forse mi chiederesti
“dove sei stato tutto questo tempo“,
e io ti risponderei
“facciamo finta di niente”
mentre apro una scatoletta di tonno.
da "Se le cose stanno così", Ancona, Italic, 2015
(la miope)
Non è raro che sbagli,
confondo le entrate
con le uscite,
gli autobus che partono
con quelli
che ritornano;
alcune volte ho scambiato con altri
perfino
il mio amore,
ma me ne sono accorta subito,
dall’odore del dopobarba
o perché l’abbraccio
non era lo stesso.
Non è raro che sbagli,
però
mi piace così,
preferisco ascoltare,
e se mi chiedono
come mai non indosso occhiali,
rispondo che la realtà
fa così male
che a volte è meglio
immaginarla.
da "Se le cose stanno così", Ancona, Italic, 2015
Ride Valentina, ride
seduta sul divano,
dice che ha una parrucca diversa
per ogni occasione, che le mani
a volte non afferrano gli oggetti.
“Parestesia si chiama” , ma in fondo le cose
stanno bene dove stanno, e per qualsiasi
bisogno ha angeli custodi
in tutto il quartiere. Insomma
il cancro è una pacchia, penso,
mentre accendendosi una sigaretta
mostra delle foto, è felice.
“Devo morire di cancro,
mica di depressione” e poi
racconta di strani liquidi
che le escono dai piedi,
ogni volta che va dalla tossicologa.
“Sei quasi Gesù”, le dico, “ti manca
una Maddalena che te li asciughi
quei piedi”, mentre lei continua a ridere.
Ride Valentina, ride
non sa che i suoi occhi fanno più luce
di un intero pomeriggio a Roma.
da "Se le cose stanno così", Ancona, Italic, 2015
Mi lasci fuori
anche dalle tue parentesi;
lì, lontano dal tuo abbraccio
i prati sono ghiacciati,
il mare, alla sera,
si prosciuga nelle mani
ed io vivo
una vita
involontaria.
da "Se le cose stanno così", Ancona, Italic, 2015
Di Parigi non ricordo la Torre Eiffel
o Notre Dame o il Sacre Coeur,
ma gli immensi giardini, dove
le fontane argentavano la luce,
e le nostre presunte conversazioni
sull’Italia, troppo lontana
come la quadratura di un cerchio.
E poi ricordo dalla tua finestra
le stimmate di mille finestre:
inquilino di appartamenti inesplorati,
recluta nelle abitudini più disparate,
la mia vita si moltiplicava dentro le altre
ed era inutile leggere gli oroscopi
o domandarti cosa provassi per me,
perché io ero tutti gli altri.
da "Se le cose stanno così", Ancona, Italic, 2015
(inedita)
Si sta così bene, ma così
bene
dentro l’azzurro dei tuoi occhi
che mentre parli con gli altri
io mi ci perdo,
anzi mi sembra proprio
di essere lì dentro,
come in una vasca
idromassaggio.
Allora sai che cosa faccio,
quasi quasi glielo dico e
invito pure loro
e ci organizzo un aperitivo
con olive patatine noccioline,
musica anni Settanta
e un tramonto da vedere
come quelli dei Caraibi.
Poi, finito l’aperitivo,
ognuno tornerà a casa
a riprendere i fili del discorso,
ai sonniferi, alle
bollette, alle file in posta,
ma che importa
anche a distanza di anni,
incontrandoci per strada,
tutti ricorderemo quel giorno,
quel giorno in cui
abbiamo fatto l’aperitivo
nell’idromassaggio dei tuoi
occhi.
Ho sempre avuto un po’ paura dei sogni.
La notte, prima di addormentarmi,
spero sempre che tutto vada bene,
che non abbia incidenti domestici, lutti,
regressioni ad una giovinezza in cui mi vedo
impacciato o sfrontato, troppo, per uno come me
ormai sulla quarantina. Invece stanotte, non ho sognato
nulla di tutto questo. Nulla che la mattina faccia star male.
Tu, che da giorni non mi parli, eri vicino alla mia guancia
e mi sussurravi tenerezze, chiedevi scusa e mi imploravi
di tornare quello che ero prima,
e io ti dicevo che sono da sempre quello di prima,
perché il mio cuore non ha mai smesso di imparare
come volerti bene in silenzio.
(inedita)