Noi giganti siamo rimasti in pochi
circondati da uomini piccoli
senza ombra.
Alcuni ci graffiano rabbiosi le caviglie
altri ci ignorano
fingendo di dormire.
Ma a noi giganti non va di partire.
La terra che abbiamo è una misericordia
colma di frutti e soli del mattino.
Abbiamo figli e una ricchezza
di doveri che è tutta la nostra libertà.
Non abbiamo paura del dolore
dello spettro luminoso del silenzio
e se la notte si muovono i fantasmi
ci chiamiamo per nome, uno per uno
e ci abbracciamo come capita
nel buio
.
Mentre agli uomini tremano
le vene ai polsi, noi giganti
continuiamo a camminare
nel gelo luminoso di gennaio
saldi nelle gambe, controvento.
da "La specie dominante" (Aragno, 2014)
La terra che esploriamo
non ci appartiene
possiamo anche dimenticarla
se capita.
La abitano migliaia di viventi
che neppure conosciamo.
Però possiamo camminare
poggiare i piedi
sulle piazze maestose
se piove ci bagniamo come l’erba dei prati
piegandoci
e poi ci alziamo, finito il temporale.
Allora qualcosa rimane sottopelle
come un umore.
Possiamo quindi osservare e ascoltare
vivere silenziosi
molecole nell’aria che popolano il mondo
non sapendo.
da "La specie dominante" (Aragno, 2014)
La notte ha il sapore d’acqua amara
il giorno è corpo.
Se tu sapessi quanto
sono stanco.
Però non abbastanza
per il sonno.
Puoi vedermi
ripiegato
in un angolo
mentre la mente rauca ancora ringhia
contro la notte
intera.
Vorrei dissolvermi
tacere finalmente.
Non sembra neanche mio
il cuore rumoroso
che si sente.
da "La specie dominante" (Aragno, 2014)
Che bello se vi potessi tutti aiutare
anche in segreto, nelle piccole cose.
Prendi ad esempio un dolore qualsiasi
la casa che manca, l’abbraccio negato
le rate da pagare.
Non vedi come tutto va in rovina
la terra che si lacera perduti i confini.
Certo, mi sarebbe di grande aiuto
sapervi tutti amare, considerare la nostra semenza
la vita contagiosa, l’amore che ci appartiene.
Sarebbe bello tenervi tutti in petto
portarvi nella terra dei giganti
venuti al mondo come conchiglie
e per il mondo destinati a camminare.
Tutto sembra desiderabile, ma io
non vedo più niente, allora mi rimetto
nelle mani del Signore.
Però anche voi salvatemi amici cari
prima di partire in questa torrida stagione.
E poi magari ci ritroviamo a raccontare
più leggeri, a fine estate.
E io che guardo e chiedo
se potrà mai finire. Ancora un’ora
triste e non ho nulla
più da offrire. Però c’è stato
un tempo, sì, c’è stato
ma scrivere per oggi non mi salva
le parole cui contavo
di affidare tutto il male del mondo.
Suona un disco fatto di vinile
l’onda celeste e meccanica
sale dentro il cielo di polvere
tu credimi, che a volte
vorrei il coraggio di non sapere.
Siamo sempre più felici
se crediamo di non essere in pericolo.
da "La specie dominante" (Aragno, 2014)
Le lampade a carburo
funzionavano circa otto ore.
Ognuno doveva comprarne una e caricarla,
che facesse appesa al muro luce
almeno per tre metri.
Parlano ancora di quando
giù in miniera si spensero tra i morti
senza fiato, respirando la terra.
Eppure se ci penso, sapermi sotto
mi fa sentire vivo. E quando torno
tutta quest’aria pare troppo,
un privilegio che non mi riguarda
perché le mie radici
così come ho vissuto
sono
carne, muscolo e fango.
da "La specie dominante" (Aragno 2014)
E’ un attimo di perdizione
nel gesto dell'amore, smarriti i corpi
in un pensare profondissimo.
Così fu, credo, la creazione
fatta per guardare il mondo
e dire, come voce nel torace.
Suona la sveglia all’alba, la casa
negli odori che riposa.
Anche noi obbediamo a una luce
nella foschia che forza l’inverno
e si procede per tentativi, strappi di motore
per imparare a vivere un'ampia prospettiva
poi capita talvolta che ceda la ragione
ci abbandoniamo alla vertigine
la vita nell’abisso, assolutamente.
da "La specie dominante" (Aragno, 2014)
Non è che non mi piaccia l’avventura,
va bene anche sposarsi, avere cura.
La corsa contromano degli eventi,
gridare, nervi tesi, fino al pianto.
Va bene il salto a vuoto, il calcolo del rischio.
Ma è quel passo incerto del pensiero,
lo scricchiolìo del mondo,
talvolta, che mi fa un po’ paura.
da "La coda dell'occhio" (Marietti, 2011)