Alba e aranci
Spicca l’arancia all’alba
e bevi il succo:
io guardo il cielo, dove la ramaglia
si slancia, a frusto a frusto.
E avremo un’altra infanzia
che si smaglia
da quell’azzurro, lenta;
precipita l’arancia
dal sole alle tue mani,
e dai lontani
giardini, ove un inverno
caldo sorveglia i mari.
Ciò che occorre è un uomo,
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in ispirito e verità;
non un paese, non le cose,
ciò che occorre è un uomo,
un passo sicuro, e tanta salda
la mano che porge che tutti
possono afferrarla, e camminare
liberi, e salvarsi.
Ora ad altre speranze
Ora ad altre speranze ecco si leva
non veduta la luna
e il cieco sguardo mio di cruna in cruna
delle finestre mena
come a spente farfalle,
ed alle assurde mura
trasumanate come aperta valle
da un riflesso di luna.
E le attese e gli eventi
nell'alzato mio volto errano un poco
sostando e dubitando eguali al fioco
sospirare dei venti,
e in me è tutt'uno
l'animo e questo moto, incerto e bruno.
Emilia, se i tuoi gesti indovinassi
di quando ti fai bella in quello specchio .
che può vederti, beato, nel vecchio .
angolo della stanza, e i pochi passi
che fai per rimirarti tutta sola,
io mi contenterei. Dicendo: come
ella fa adesso forse anche in mio nome
segretamente, qualche volta, vola
a riguardarsi per vedere se è bella
e tocca i suoi capelli e la sua testa
piega sul seno e timida cancella
un che di men pudico: e non le resta
nessun orgoglio, e come pura ancella
di ciò che piace a me si fa una festa.
Odi il canto del gallo, odi le prime
campane, cosi come tu sei, ora,
da stanca suppellettile, mio cuore,
come quando è mattina
nella vecchia cucina,
la panca contadina, e tutti dormono;
che pur se tra le fibre ti si legga
ancora picchiettato d'albe e canti
di galli, ben poco hai appreso, cuore,
dalla vita già verde;
e ormai nient'altro costi,
ridotto a intagli e tacche come sei,
che quel che vale ciò che sempre serve.
Perciò, già che sei vecchio, e tutti passano
su di te levigandoti,
chi per suo agio chi per baloccarsi,
bada a non metter schegge che feriscano
le giovinette carni ai più bambini,
via via che più tarmato e secco sèi
e più 'prossimo a farti poca cenere
al primo odor di bruciaticcio...
Non ho più che lo stento d'una vita
che sta passando, e perduto il suo fiore
mette spine e non foglie, e a malapena
respira. Eppure, senza acredine.
C'è quell'amore nascosto, in me,
quanto più miserevole pudico,
quel sentore di terra, che resiste,
come nei campi spogli: una ricchezza
creata, non mia, inestinguibile.
Nemmeno più coltivabile, forse, ma vera
esistenza; così come pare sperduta
nel cosmo, con la sua gravità, le sue leggi,
il suo magnetismo morente, che lo Spirito
non dimentica, anzi numera.
Non guardatemi, che son vecchio,
ma nel mio mutismo pietroso ascoltate
come gorgheggia , com'è fiero l'amore.