Se s’avvicina ciò che di me è stata
senza differenza tra chi ci fa nascere e chi ci abbandona
non è di poco conto una domanda
se non è di muoversi di stanza in stanza
ma occupar le stanze dire
non cerco strade non voglio camminare ma stare
in casa a più piani a più riprese d’ossigeno e di rose
dire: ce l’ho da fare
II
Se s’avvicina ciò che di me è stata
interrotta
allora mi allontana la sconfitta
come se non fossi stata io
convertita
…
ho fretta
voglio invecchiare
come la terra che sotto ha l’animale.
III
Se s’avvicina ciò che di me è stato
insonne sogno di clausura mio possesso lotta
per la supremazia dello spavento
…
allora trema e tremi la ragione
di uno stato terremoto
mio sesso nato da sesso uguale.
Forse quel muro ormai così gonfio di fili d’erba è qui per lasciarci
divenire
una volta che ci siamo toccati senza ritrarci
per aver affondato le mani nella schiuma
noi melograni d’amore spaccato
Ma cos’è l’amore che così dobbiamo chiamare tra noi il riconoscerci
sempre parenti
o così abbiamo chiamato il nulla o quel tempo e quello spazio
dove l’acqua e la terra divengono fango
Queste stanze che diventano locande
sono le mie poesie
le lascio con una leggerezza tale
da farmi godere
perché non si dice mai che si gode a sparire
sono presa dalla voglia di lasciarmi attraversare
dalla nebbia mattutina della tua morte
a volte è questo il refrigerio
del ferro incandescente dentro l’acqua
Sempre ci salva un poco quel che accade
l’acerba giovinezza i suoi segnali
Certe inconfutabili passioni certe attrazioni certe
esistenze di cui eravamo fatti
Attesa allora è solo che svanisca
l’idea di possedere
per essere di nuovo
ciò che siamo