Un unico lungo, lunghissimo respiro ci ha accomunati tutti.
Oltre duemila persone sospese in un incanto di note: il concerto di Grigory Sokolov nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica.
Non siamo critici musicali, non siamo in grado di affrontare discorsi su partiture, di discettare su genesi delle composizioni, su contrappunti, armonie, dissonanze, timbri, ritmi.
Avvertiamo però dentro di noi vivo un anelito alla Bellezza, un desiderio di armonia, una predisposizione a dissolverci in una fluidità che ci avvolga, a diventare tutt’uno con il suono, il silenzio, la luce e il buio, a tornare inconsapevoli nuotatori di liquidi amniotici.
“…Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture…”
scrive il poeta.
E ci lasciamo rapire mentre risuonano le nostre corde più profonde.
Quando il concerto finisce non siamo pronti a questo repentino addio.
Il Maestro lo sa e generosamente ci saluta e accompagna, richiamato da applausi e acclamazioni, con una serie di “bis”, donandoci sei ulteriori “fuori programma".
E mentre ci domandiamo se abbiamo afferrato il senso di queste musiche appena ascoltate ci vengono alla mente e in soccorso le parole di Maurizio Pollini:
«Come possiamo sapere se abbiamo compreso il senso di una musica? Dall'emozione che ci procura. È un criterio soggettivo, eppure è l'unico che funziona veramente».
Allora siamo certi di aver compreso.
s.m