
lI fachiro
stanza 9 – primo piano – economato
ci vado io – mi dici – a chiedere il permesso
per l’aldilà timbrato dall’ufficio
giusto e ritorno al di qua dell’arco
diroccato dove un labirinto di strade
mi porta in quell’anfratto. tra le quinte
pende la torre sopra le nostre pene.
nella sala d’aspetto sono un numero
… l’importante è il tre – mi precisa
la portantina. all’appello rispondo.
sono un fachiro che impara
a camminare sui carboni. c’è
da centrare il punto giusto… un cm
un mm più su più giù … il cerchio non
si chiude. va calibrata l’immagine
s’illumina quel raggio rosso in fondo
come un tramonto d’agosto. qualcuno
m’accarezza il dorso con la mano.
forse un bacio è di troppo nel lettino
stretta dentro il tubo sento un calore
sul fondoschiena poi un sibilo acuto…
sette il numero nuovo… ma devo attendere…
il mio caso non è chiaro
Da: la svista, Catania, A&B editrice, 2011
Livia scrutans
Dentro il video appare un po’ a sinistra
il tuo viso rosato pienamente
Livia scorro col mouse
la tua delicatezza di labbra schiuse
dove tocchi di vita ogni giorno
t’accrescono i sogni
Livia il tuo lieve riso mi riaccende
altri volti nel cuore dell’inverno
ma tu non sai quale
lucente stella t’arde nel cielo di gennaio
(il pointer del mouse s’attarda sulle
tue gote gonfie)
ora scruti chiara oltre il tenero sonno
sillabe e aria ancora in armonia
da Vers.es (2004)
chiusa per ferie
chiusa per ferie anch’io come questa
città pedalando m’avvio dove l’argine
gira in una stretta d’acqua
o lucertola guizzo
a uno slargo oltre il ponte sostando.
comincia da qui il mio letargo settembrino
un poco anticipato dalla calura d’agosto
che declina.
tutto eguale per strada
nei lungarni lungo la statale 206 all’alba al tramonto
i girasoli senza i macchiaioli non sono gialli più così
d’un marrone ancora bruciato la terra
davanti alle case della fattoria
poi lavata di pioggia la sabbia della spiaggetta
s’appallottola intorno intorno tra
alghe e sassi
passi l’idea d’una corrente sottopelle
se tra te e me fluisce e si scioglie
nel punto ove si stempra la tua voglia…
e non ti chiedo venia
da Il martirio di Ortigia (2010)
altre erbe
avevano scoperto una gramigna
speciale che cresceva tra le fessure
di me come tra gli interstizi
della terrazza a mare.
non era facile estirparla
– ci volevano forbici da giardino
o un attrezzo da scavo
per arrivare lì dove le radici
s’erano impigliate – tu dicevi
che ti faceva ribrezzo perché
sembrava all’aspetto maligna
anche se non era invasiva e proliferava
appena più folta dei capelli.
un’altra erba più buona avviluppata
allo steccato davanti alla casa
mi impediva la vista del mare.
era stata una svista del giardiniere
non averla strappata. tanto – pensava –
io ero capace di guardare di là
da quella come fanno i poeti. mi aveva
sopravvalutato – era chiaro – e poi
c’era anche la siepe del vicino
troppo alta per vedere la mia vita
doppiarsi nella sua. così ero arrivata
al punto di pensare d’essere cieca
e di non capire il parere
degli specialisti che volevano intervenire
ad ogni costo per aprirmi
nuovi orizzonti…
da La svista (2011)
la stanza da bagno
mi rifugio nel bagno – stanza accogliente
ampia finestra vista parco platani
tremanti alla brezza di maggio –
dopo il colloquio di rito nello studio h
mi ritrovo confusa davanti a undici
provette in fila sul lavandino.
quale sarà la mia non so ancora
forse quella d’un bianco opaco come
il piatto doccia. sto a rimuginare
mentre cade una goccia poi due… tre…
dal rubinetto di fianco sul mix
di liquidi in attesa d’analisi.
lo stick col reagente cambia
i colori (e i miei umori). d’un tratto
una merla si posa sul davanzale
– cosa fai tu qui… io vorrei sorvolare… –
stanotte ho sognato una luna
crescente in un cielo preestivo.
– data presunta del parto undici maggio –
ora ci sei tra di noi mi spiazzi
m’adeguo
da La svista (2011)
il girone
sono in esubero in questo girone
i dannati e gli addetti
non bastano a dividere i vivi
secondo i tempi d’attesa. s’affollano
dopo l’appello davanti al display
aspettando la formula di lettere
e numeri che li ordina in duplice fila.
l’ago cerca la vena che c’è e poi scompare
d’un tratto il sangue non fluisce più
ma ho voglia di essere qui tra di voi
in un natale di ghiaccio dell’anno
duemiladieci. ti scorgo – le guance
rosse la fronte aggrottata – a sbirciare
di sghembo il mio viso. come un refrain
la tua voce s’innalza e s’affioca.
nel fondo un’altra voce si confonde
con il mormorio di quella gente
che sta a contare i giorni
a venire. dall’ultimo posto m’apostrofi
– sei tu qui – ma non siamo uguali io
e te solo per lo scorcio di tempo
che ci rimane in comune. col camice
bianco ti affacci alla porta – sono
viva… se vuoi mi puoi salutare… –
da La svista (2011)