ovvero “Confessioni di un orfano d’arte”.
Come è difficile il mestiere di figlio, soprattutto quando si è un bambino introverso e ipersensibile e si ha un padre "ingombrante", anzi due.
Emanuele Salce si racconta e ci racconta una vita che ha dovuto fare i conti con figure fuori dall'ordinario che hanno lasciato un segno profondo anche nel momento del loro trapasso.
Ed ecco che il primo lutto precipita su un ventenne, reduce da una notte brava, che in preda ai fumi dell'alcool fatica a capire cosa sia successo. Deve comunque affrontare da solo le incombenze che la situazione comporta, districandosi tra figure adulte grottesche, ipocrite o ridicole E' allora che perde il primo padre, Luciano Salce.
La seconda perdita lo coglie più maturo, ha più di trenta anni e non è solo questa volta a gestire il difficile momento, ma le figure che si agitano e agiscono come in un teatro dell'assurdo sono presenti anche in questa occasione, e moltiplicate.
Il terzo funerale, metaforico, è il suo: una catarsi liberatoria: una "catarsi addosso" che lo libera dal peso che lo opprime fin dentro le viscere.
Questo, in sintesi, il filo del racconto ma è impossibile rendere conto della bravura, verve, ironia, capacità di autoderisione e, soprattutto, della sincerità di Emanuele in una condivisione che spalanca una finestra attraverso la quale si mostra un'anima che ha dovuto lottare duramente contro i propri fantasmi per arrivare a quella pacificazione che le ha permesso di accettare e percorrere la propria strada.
Un testo molto riuscito, scritto a quattro mani con Andrea Pergolari.
Si ride, molto. Ci si commuove, molto. Non si può non voler bene ad Emanuele in tutte le fasi della sua vita che srotola onestamente e con vis comica irresistibile davanti a noi.
Applausi ripetuti e a scena aperta.
Stefania Minnucci