"[...] La conobbi nel febbraio del ’43. Subito dopo mi divenne necessaria per il suo violino; mi suonò dapprima il moto perpetuo di Janácek che divenne quasi un motivo del nostro incontro, e si ripeté in molte occasioni. La ricordo perfettamente nell’atto di suonarlo, con la gonna blu e la camicetta bianca. Ma presto cominciò a farmi udire Bach: erano le sei sonate per violino solo, su cui emergevano, ad altezze disperate, la Ciaccona  e ilPreludio della III; il Siciliano della I. Le centinaia di sere che abbiamo trascorso insieme, dal ’43 all’estate del ’45 quando, finita la guerra ripartì per la Jugoslavia, mi danno la solita disperazione dell’inesprimibile, del troppo unico; tuttavia resta la musica come qualcosa di solido, di avvenuto senza equivoco e che riassume tutta la nostra tempestosa amicizia [...]"

(Pasolini adolescente e il suo violino)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

                   

 

 

 

                                                                                                                                  

 

 

 

 

                                  

                                                                                                                         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Versuta, 17 gennaio 1946.
Cara Pina, è il giorno di Sant'Anrtonio, sono sempre uguale, alla mia scrivania qui a Versuta. Lei meglio di ogni altro può immaginare questa solitudine. E' una giornata buia solcata da un vento spasimante, che ien giù dai monti invisibili, alludendo impassibile a quelle lontananze. Carmela canta dietro al muro che ci divide, con una voce da bambina: s'intrecciano a quell'esiguo suono il tonfo della pompa e quel rintoccare freddo delle campanelle di Versuta, senza eco. Peccato che mi sia venuta l'idea di scriverle questa mattina: mi sono accorto un poco in ritardo che è festa, e subito quel disgustoso veleno che lei conosce, mi ha riempito come un liquido inco­lore, e tutti i miei sentimenti vi galleggiano immobili. Lei sa l'infinità di cose che abbiamo ancora da dirci, che la conversazione iniziata più di un anno fa continua ancora, per certe sue strade invisibili, alleggerendosi o caricandosi di argomenti o memorie secondo un regolare processo nel tempo. Solo la nostra morte la interrom­perà in un suo punto qualsiasi (ma se esiste Dio non sarà un punto casuale!). Certo man mano che il nostro discorso si dipana nel tempo, io sento che qualcosa si risolve, naturalmente. L'aver rinunciato a dirci tante cose, oltre alle forse troppe che ci siamo dette, è probabilmente un bene, perché così le nostre immagini reciproche non si sono consumate, ma conservano un residuo inesauribile di incanto. Viltà pudori, impedimenti si rivelano ora mezzi di una necessità impassibile, che come una corrente ci ha travolti, divisi, isolati in un gorgo. Per questo io mi sento ancora for­temente commuovere dalla sua immagine che suona Bach; lei ha costruito un edifi­cio saldissimo nella mia vita. Mi scusi Pina, non riesco (e non voglio) abbandonarmi alla piena delle memorie o delle evocazioni. In tutta la nostra particolare amicizia è infatti predominato in me quel lato del mio carattere per cui reagisco alla mia sensi­bilità eccessiva; e naturalmente la reazione se non si può dire anch'essa eccessiva, rie­sce per lo meno incoerente, disordinata. Mi scriva. Io la saluto, anche da parte della mia mamma, che le scriverà con affetto.
Suo Pier Paolo.

(da pagine corsare)

Pina Kalč

WhatsApp chat