POESIA IN FORMA DI ROSA _Ebook - Ita - Poesia It_ Pasolini, Pier Paolo - Poesia In ...
Marilyn
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri, i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non hai mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Così la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre così facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma
Spari', come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata,
e così la tua bellezza non fu più bellezza.
Ma tu continuavi ad esser bambina,
sciocca come l’antichità, crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere
si mise tutta la stupidità e la crudelta’ del presente
te la portavi sempre dietro come un sorriso tra le lacrime
impudica per passività, indecente per obbedienza.
Sparì come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta del mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne così un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: “È possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?”
Ora sei tu, la prima, tu la sorella più piccola, quella
che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
Pier Paolo Pasolini
MEMORIE
Torno alle giornate
più remote del nostro
amore, una marea
di muta gratitudine,
e disperati baci.
Tutta la mia infanzia
è sulle tue ginocchia
spaventata di perderti
e perdutamente
felice di averti.
Ho compiuto il viaggio
che tu non hai compiuto,
mia lodoletta, madre
fanciulla. Coraggio
di dolce indiziato,
invasato e imprudente
e cieco amore...Fui
un altro, al ritorno,
con in volto la maschera
della nostra dolcezza.
Una bellezza fonda
d'ombre nella fronte
pura e nell'onda
giovane dei capelli -
magra negli ossi
del mento e degli zigomi,
dura nella tenera
curva della faccia -
bellezza di ragazzo
o ladro - trasparente
e torbida - riempita
da una vecchia innocenza,
indurita dagli anni
ma, forse ancora mite...
Ah, odiosa mitezza
adorabile in te
ch'eri davvero bella.
Ricordo i pomeriggi
di Bologna: al lavoro
cantavi nella casa
che non era che un'eco.
Poi tacevi, e volata
nell'altra stanza (ah il bruno
tuo passo di bambina...)
riprendevi a cantare.
E il pomeriggio era
silenzio e rapimento:
già presagiva, forse,
di contare nel gioco
orrendo del destino.
Tu sai quanto fui puro...
quanto amavo una vita
troppo bella per me...
quanto ero deciso
a difendere e amare...
Ma tu di me conosci
gli abbandoni, l'aureola
di ingenue dedizioni,
la passione irrichiesta
e nobile...Ne ignori
una rassegnazione
che è bassezza, gergo,
parola disonesta.
Nella storia del nostro
amore c'è un'ombra,
il rapporto unico,
la troppa confidenza
che non s'esprime, resta
parola, imputridisce...
La purezza perduta:
ecco la novità,
il terribile dato,
e la vecchia famiglia
ancora forse trepida
della storia padana,
della sua giovinezza
triste ed eroica...
Il mondo è nell'ombra
del tuo tiepido riso
di madre giovinetta.
Ah, non so nulla e tutto
della tua floridezza,
le tue vesti fragranti
di mode impure e timide,
la tua bianca gola,
simile all'eroine
dell'epoca... Tu, sola,
davi la solitudine
a chi, nella tua ombra,
provava, per il mondo,
un troppo grande amore.
Mi innamoro dei corpi
che hanno la mia carne
di figlio - col grembo
che brucia di pudore -
i corpi misteriosi
d'una bellezza pura
vergine e onesta, chiusi
in un gioco ignaro
di sorrisi e di grazia
(aria che li rischiara
coi loro deliziosi
capelli, in prati impuri
della loro innocenza),
corpi spenti dai tremiti
della carne, uno spettro
di batticuori senza
pietà, spada affondata
nella rosa disfatta
della gola che sanguina,
i corpi dei figli
coi calzoni felici,
col bruno o il biondo
delle madri nei passi,
e un troppo grande amore,
nel cuore, per il mondo.
- I –
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l'abbaglia
con cieche schiarite... questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio... Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
tra le vecchie muraglie l'autunnale
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo...
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
quanto meno sventato e impuramente sano
dei nostri padri - non padre, ma umile
fratello - già con la tua magra mano
delineavi l'ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d'incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
la sua giornata, mentre intorno spiove.
da "Le ceneri di Gramsci" Pier Paolo Pasolini